giovedì 6 settembre 2012

ITALIA, IL TREND DEI PAGAMENTI

Il trend dei pagamenti in Italia.
Sono considerati i valori medi di ritardo alla scadenza concordata con valori e termini %  rispetto, si ribadisce, al periodo pattuito.

Viene considerata, sempre in termini % l'analisi sul ritardo dai 30 giorni successivi rispetto a quanto in termini di periodo era stato pattuito.

C'è o non c'è una loro indiscussa ricaduta sul sistema economico?


                                                                       2007      2008    2009    2010   2011   2012*

Pagamenti alla scadenza concordata, in %         50,8       49,6      43,7    40,8    38,6   34,2*

Pagamenti con ritardo superiore 30gg., in %      11,1       15,0      17,1    18,5    20,8   26,8*


Il dato del 2012* è un dato stimato.

martedì 4 settembre 2012

BASILEA TERZA CITTA' DELLA SVIZZERA. E NON SOLO

Basilea, 1 - 2 - 3 STELLA!

Basilea e i suoi parametri hanno inciso nella gestione della crisi da parte delle Banche?

Parto dalla fine.
Mentre le grandi società finanziarie e le grandi industrie si sono rivolte al mercato delle obbligazioni con l'emissione di corporate bond per reperire capitali, per tutte le altre realtà il canale dell'indebitamento bancario è stata una condizione assolutamente obbligata, con il meccanismo altrettanto forzoso di rispettare le necessarie condizioni poste dalla regolamentazione internazionale di Basilea.
Quindi, le nuove regole di Basilea hanno rappresentato e continuamente lo faranno, un rischio per le Pmi, sia per una minore disponibilità di credito e sia per il suo spropositato costo.
Ciò ha incrementato e messo in ginocchio ulteriormente tutto (tutto) ogni settore industriale. 

In pratica tutto si sviluppa sull'effetto dell'aumento di patrimonio richiesto alle banche mantenendo, le banche stesse parità di asset.
Ad esempio le banche italiane indipendentemente dai parametri di Basilea (uno o due o tre) hanno già da qualche anno erogato credito a soggetti sempre meno rischiosi.
Infatti gli istituti di credito a parità di capitale hanno, dall'introduzione dei parametri di Basilea, avuto sempre due possibilità: o erogare di meno (ma ciò era impossibile visti alcuni accordi bancari e interbancari) oppure scegliere soggetti che hanno una capacità creditizia migliore e offrono maggiori garanzie (qui, poi, subentrano tutte le analisi, su rating interno, scoring, punteggi e affini vari, trattate a parte).
Arrivando al punto che le regole ferree si sono già rivoltate contro l'intero sistema delle imprese creando un irrigidimento delle posizioni sul tema del rigore.

Questo rigore nel sistema istituzionale e finanziario attuale, per rendere più trasparenti ed efficenti i meccanismi di concessione del credito da parte delle banche alle imprese, chiede sostanzialemente che le stesse banche aumentino i coefficenti di patrimonializzazione anche rispetto alle indicazioni della precedente Basilea 2 (i core tier), chiede inoltre, che vengano elaborati piani di intervento più oculati nella valutazione dei rischi degli interlocutori e chiede che si facciano parte in causa dei costi operativi legati a tutte le fasi di erogazione dei finanziamenti.
Le conseguenze sono state una maggiore copertura dei rischi ma anche un sensibile aumento dei costi che sono stati fatti totalmente ricadere sulle Pmi.

 Oggi 4 settembre 2012 questo link:
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-09-04/basilea-spirale-confusione-063607.shtml?uuid=AbpNR7XG
Il sistema finanziario globale, sempre più complesso e basato su strumenti di misurazione dei rischi molto sofisticati, ma intrinsecamente fragili. 
Il clamoroso fallimento dei modelli di valutazione dei titoli strutturati è la prova provata che si estrapolavano rischi futuri da una base statistica gravemente inadeguata. Il problema è che il regolatore si è illuso di poter inseguire la crescente complessità del mondo finanziario con regole sempre più complesse, per le tre versioni di Basilea si passa da 30 pagine a 347 a 616 di Basilea 3.
Haldane sostiene infatti che la sofisticazione di Basilea ha di fatto aumentato l'opacità: perché i metodi di ponderazione dei rischi e di definizione del capitale sono troppo eterogenei, applicati dai regolatori nazionali con criteri troppo diversi per consentire al mercato di distinguere fra le banche solide e quelle fragili. 
La regola semplice (un limite all'indebitamento complessivo, cioè fra totale dell'attivo e capitale "vero") è stata introdotta solo da Basilea 3, entrerà in vigore gradualmente ed è ancora insufficiente, perché un leverage pari a 33 volte è ancora gravemente inadeguato. 
Insomma, non solo il capitale delle banche è disciplinato in modo intrinsecamente sbagliato, ma è ancora del tutto insufficiente. Togliamoci dalla testa, è l'inevitabile conclusione, che avendo aggiunto un terzo piano alla torre di Basilea abbiamo reso l'edificio più robusto. Aumenta solo la confusione, conclude l'autore giocando sull'assonanza Basel-Babel. Un'ampia analisi statistica dimostra che la crisi finanziaria avrebbe potuto essere fronteggiata assai meglio con poche regole chiare.
Questa analisi è esplicita su tutto ciò che sono i calcoli intrinsechi di Basilea, quei calcoli che se fossero stati ben gestiti avrebbero portato vantaggio sia alle Pmi che alle Banche, così come nella prima impostazione di Basilea formata da 30 pagine e con contenuti di matematica finanziaria di rilevanza non solo teorica ma anche pratica.
Mario Mirabelli
Centro Studi Analisi Statistiche - Modena
 

domenica 2 settembre 2012

I FALLIMENTI DELLE AZIENDE E COM'E' STATO AFFRONTATO IL PROBLEMA DALLA POLITICA LOCALE E NAZIONALE

TUTTI, MA PRINCIPALMENTE A LIVELLO LOCALE, E POI ANCHE NAZIONALE, SI ACCORGONO ORA DELLA SITUAZIONE FALLIMENTI AZIENDALI.
SE NE ACCORGONO ORA, ALLA FINE DI UNA CALDA ESTATE 2012, MA LO AVEVO GIA' SCRITTO NEL 2008!
ANCHE PERCHE' I DATI STATISTICI, COME SEMPRE SE BEN LETTI E BEN UTILIZZATI, ERANO CHIARI GIA' DA ALLORA.

LA RICERCA EFFETTUATA DAL MIO CENTRO STUDI, CON SEPPUR LIMITATE FONTI ECONOMICHE, NEL 2008 RIPORTATA QUI INTEGRALMENTE - ARTICOLO APPARSO IL VENERDI' 10 OTTOBRE 2008 PAG. 13 TRATTO DA L'INFORMAZIONE DI MODENA - DESCRIVEVA UNA SITUAZIONE CHE ALLA LUNGA POTEVA CREARE DEI PROBLEMI, SIA DA UN PUNTO DI VISTA POLITICO E SIA DA UN PUNTO DI VISTA SOCIALE, SE NON SI INTERVENIVA.
A LIVELLO LOCALE QUEL !GRIDO DI ATTENZIONE!, QUELLA SEGNALAZIONE E' RIMASTA LI'.
NON SOLO L'HO SCRITTO NELLE COLONNE DI QUEL QUOTIDIANO, MA NE HO PARLATO NEL MIO LIBRO 'MA COME SIAMO MESSI - INDICAZIONI STATISTICHE SULL'ANDAMENTO DELL'ECONOMIA - ED. TERRA E IDENTITA', ED ANCHE LI' HO RICEVUTO SOLO CRITICHE BASATE SUL NULLA, ANCHE PERCHE' OGGI I NUMERI NON FANNO ALTRO CHE DARMI UNA MAGRA ED INUTILE RAGIONE PROFESSIONALE.

ALLA FINE NULLA E' STATO FATTO NE' IN QUESTI ULTIMI QUATTRO ANNI, NE' TANTOMENO NEI PRECEDENTI 15 PER EVITARE UN TRACOLLO DI QUESTO TIPO. 
ANZI, SI E' SEMPRE CONSIDERATO IL PROBLEMA DEI FALLIMENTI UN 'NON PROBLEMA', SCARICANDO LE RESPONSABILITA' OGGETTIVE DELL'AZIENDA FALLITA, SOLO PRINCIPALMENTE SULLA PROPRIETA' CHE QUELL'AZIENDA AVEVA GESTITO SINO A QUEL MOMENTO.
NON SI SONO MAI DATE RESPONSABILITA' AD ALTRI ATTORI, TIPO: BANCHE, SINDACATI, PROFESSIONISTI GESTORI DI NUMERI AZIENDALI.

TUTTO SOTTOVALUTATO PER IGNORANZA STATISTICA DA PARTE DI CHI POTEVA INTERVENIRE.
STATISTICAMENTE PARLANDO INFATTI NON TUTTE LE AZIENDE ERANO E SONO NELLA CONDIZIONE DI ESSERE SALVATE TRAMITE UNA CORRETTA POLITICA SOCIALE ED AMMINISTRATIVA INTERNA, MA POSSO AFFERMARE, DATI ALLA MANO, SENZA CORRERE IL RISCHIO DI ESSERE SMENTITO, CHE UN BUON 40 % DI AZIENDE POSSONO ESSERE SEMPRE SALVATE DAL FALLIMENTO.

OGGI SI CERCA DI EVITARE CHE I 'BUOI SCAPPINO DALLA STALLA' MA ORAMAI LA STALLA E' VUOTA E SI E' INNESCATA QUELLA SPIRALE DI CHIUSURE AZIENDALI CHE PORTERANNO PIANO PIANO AD UNA RIDUZIONE DEI POSTI DI LAVORO E AD UN INTERVENTO POLITICO, CHE ALTRO NON E' CHE IL SISTEMA DI RACCOGLIERE L'ACQUA DEL MARE CON UN CUCCHIAIO.

PER CHI DESIDERA INVIERO' IL FILE PDF CON L'ARTICOLO IN ORIGINALE: mariomirabelli1@gmail.com


CRISI Nei primi sei mesi del 2008 sono il 7% in più rispetto allo stesso periodo del 2007
 

Imprese, crescono i fallimenti
 

Ma il saldo delle aziende modenesi a fine anno sarà positivo

di Mario Mirabelli*

In relazione ai nuovi dati numerici
che arrivano da vari
ed autorevoli fonti,oltre che
ufficiali di Unioncamere,e da
una ricerca effettuata dal Centro
Studi sui fallimenti,risulta
una preoccupante inversione
di tendenza:dopo un calo costante
nel triennio 2005-
2007,frutto anche della riforma
della legge fallimentare,
nei primi sei mesi del 2008
rispetto al corrispondente semestre
del 2007 si ha un incremento
di fallimenti del
7% circa.Mentre si ha un 20 %
in più di richieste di adesioni
al concordato rispetto al
2007.
Non è una impennata,sarebbe
stata tale e per giunta
preoccupante se il numero di
aziende in ‘crisi d’impresa’sarebbe
stato racchiuso in cifre
percentuali doppie.È d’obbligo
sottolineare che si è fatto
sentire l’effetto perseguito dal
Dlgs.169/07,che deve svolgere
il ruolo di maggior tutela
nei confronti dei creditori.
A Modena e provincia si
passa dalle poco meno di 70
aziende fallite nel 2007 a circa
lo stesso dato rilevato al solo
settembre del 2008.
La media decennale sempre
riferita a Modena e provincia
con dati del Tribunale
di Modena vengono indicate

 nel decennio 1990-1999 poco
meno di 166 fallimenti
(165,8 per la precisione)
mentre per il periodo 2000-
2008 ne vengono indicati
99,4.
Inoltre basti pensare che a
livello nazionale nel 2005 le
imprese per le quali era stata
avviata una procedura concorsuale
erano in totale poco
meno di 10.000 mentre nel
2007 poco meno di 4.900.
Mentre nel I° Semestre del
2008 sono ‘già’meno di 5.000.
Lo studio delle crisi d’impresa
e le ricerche effettuate
forniscono un dato che porterà
ad un incremento totale
da considerarsi ovviamente
come dato finale stimato per
l’anno corrente superiore al
9% rispetto al dato finale del
2007.
La volontà di costituire una
raccolta di documentazione e
dati relativi alla crisi d’impresa
è motivata dalla conoscenza
di una dimensione puntuale
del fenomeno aziendale
caratterizzata da uno sforzo
teso ad individuare tutti gli

stati ‘patologici’in cui può trovarsi
l’impresa,che deve comunque
essere analizzata sia
dal punto di vista economico
che giuridico.
La nostra regione a differenza
dello scorso anno dovrebbe
perdere due posti nella
classifica delle crisi,superata
da due regioni meridionali
Campania e Puglia.
Anche questo è comunque
un dato che dovrà essere statisticamente
raffrontato con il
numero di aziende neonate
dell’anno 2008,l’Emilia Romagna
terminerà l’anno ai
primi posti per numero di
aziende neo costituite rispetto
al numero di quelle cessate.


CENTRO STUDI ANALISI STATISTICHE - MODENA





TRATTO DA L'OPINIONE DELLE LIBERTA' DEL 15 APRILE 2008 L’INDEBITAMENTO PRO CAPITE NEL BELPAESE Come si finisce nella lista nera

L'Opinione delle Libertà del 15 aprile 2008
 
L’INDEBITAMENTO PRO CAPITE NEL BELPAESE
Come si finisce nella lista nera

In questi giorni stanno comparendo su vari giornali i dati relativi alla possibilità da parte di molte famiglie di non riuscire a pagare mutui o finanziamenti in genere, ed essere pertanto inseriti nelle famose black list (lista nera) dalle quali, purtroppo, è difficile uscire. Il Centro studi ha effettuato una indagine ben specifica, relativa alla tipologia di mancato pagamento del finanziamento richiesto.
Va fatta una premessa, le famiglie italiane, rispetto alle famiglie degli altri paesi dell’Unione, sono quelle indebitate per circa l’80% delle proprie capacità. Significa, ad esempio, e per stare in termini di cifre, che un operaio che guadagna 1.000 euro netti ha di questi, ben 800 euro, che utilizza per pagare debiti, quindi carte di credito revolving, mutui personali, mutui casa e via dicendo.
Rimangono spendibili 200 euro (duecento!!) utili per le spese correnti. Più cresce la retribuzione ovviamente, sia essa dell’operaio che del dirigente, più aumenta in quasi esatta proporzione la propria posizione debitoria.
Il focus della discussione relativa allo studio non è legato alla capacità di rimborso, ma alla qualità sia del rimborso e, principalmente, alla tipologia del finanziamento richiesto ottenuto. I casi subprime americani devono far ragionare, infatti se non si paga qualche rata del mutuo, la casa che rappresenta un bene primario, oltre che tangibile, per chi presta denaro in tutto il mondo, viene riassorbita dalla società finanziatrice (sia essa banca o finanziaria a sé).
Pertanto la finanziaria o la banca, non fa altro che riprendersi il bene e si ripaga abbondantemente di ciò che non ha ricevuto. E, ovviamente si viene inseriti nella famosa black list. In Italia risultano inseriti nella “lista nera”, sono quindi giudicati come cattivi pagatori, anche coloro i quali hanno fatto un finanziamento per 24 mesi relativo all’acquisto di prodotti generici, quindi non utilizzatori del credito al consumo per abbellire e/o rinnovare la propria abitazione, ma per l’acquisto di una vacanza o di oggetti tecnologici o di altro che può essere definito superfluo.
Ma che, se induce il cliente a firmare una serie di richieste, evidentemente tanto superfluo non è!
Quando si acquista un bene o un servizio grazie ad un finanziamento avviene che il consumatore stabilisce con una banca o con una società finanziaria una dilazione di pagamento destinata all’acquisto di un bene o un servizio. Pagherà a rate al finanziatore. La banca o società finanziaria pagherà subito l’intera somma al venditore.
Il venditore consegnerà subito il bene o servizio al consumatore. Questo tipo di finanziamento, quando riguarda solo i consumatori in quanto persone fisiche e per soddisfare bisogni di acquisto delle famiglie, al di fuori di ogni attività professionale, prende il nome di credito al consumo. Così come avviene per i mutui, i fidi, e i leasing, anche tutte le operazioni di credito al consumo danno luogo ad una serie di passaggi di informazioni tra gli istituti finanziari e le banche dati specializzate, una volta note con il nome di “centrali rischi” e ora denominate Sistemi di Informazioni Creditizie (Sic).
I Sic raccolgono e conservano queste informazioni. Le banche dati (Sic) che raccolgono le informazioni sull’accesso al credito dei cittadini e delle imprese e sull’andamento dei rapporti di credito nel tempo, fino all’estinzione, vengono alimentate dalle banche e dalle società finanziarie che ricevono le richieste di finanziamenti e che li concedono.

Vediamo la situazione del credito al consumo pro-capite in Italia confrontata con l’Europa e gli Stati Uniti. In America, a fronte di un debito pro-capite pari al corrispettivo di 7.900 euro, il 67% viene utilizzato per viaggi, mentre in Italia a fronte di una media europea di debito pro-capite di 2.
200 euro (di cui utilizzati per la casa l’82 %) si ha un debito pro-capite di 2.800 euro di cui, per la casa, è utilizzato il 73%. Pertanto abbiamo un utilizzo dei finanziamenti per l’abitazione simile agli Stati Uniti ma una posizione debitoria più bassa. Inoltre si ha una media europea di tassi di interesse sul credito al consumo che si avvicina all’8 % mentre in Italia siamo intorno al 9,5 % e in America vicino al 9 %.


Centro Studi Analisi Statistico Economico Finanziarie Commerciali Modena
Mario Mirabelli
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Il Mifid e le sue conseguenze. La gestione del risparmio TRATTO DA L'OPINIONE DELLE LIBERTA' DEL 17 APRILE 2008

Un articolo su l'Opinione delle Libertà relative alla Mifid. 17 aprile 2008

Il Mifid e le sue conseguenze
La gestione del risparmio
C’è qualcosa di nuovo nel mondo dei fondi italiani, anzi d’antico. Si teme infatti che l’industria del risparmio gestito vada ko e che si possa arrivare nel settore a un danno complessivo di 170 miliardi di euro (stima di Borsa e Finanza) che, dopo aver stremato le gestioni patrimoniali in fondi (Gpf), si allarghi alle gestioni patrimoniali mobiliari (Gpm).
Già il 2007 si era chiuso con una raccolta netta dei fondi promossi da intermediari italiani (fossero di diritto estero o italiano) che presentava un rosso da 53,1 miliardi di euro. Il campanello d’allarme poi è scoccato con la cifra record di riscatti a gennaio 2008: un deflusso da 19,1 miliardi di euro che ha finalmente smosso le autorità sull’argomento e spinto la Banca d’Italia e la Consob a mettere mano all’annoso problema.
D’altronde la crisi del risparmio gestito all’italiana è ormai tanto grave che qualcuno teme che, più che un campanello d’allarme, quello di inizio anno sia stato il rintocco di una campana a morto. Qualcun altro, però, si è già rimboccato le maniche e ha cercato, in buona o cattiva fede, di trovare nuove soluzioni a questa vecchia crisi.
Finisce così sul banco degli imputati la Mifid, la direttiva europea sui mercati finanziari, (Market in Financial Instruments Directives) che rende quasi impossibili le retrocessioni, ossia i versamenti delle commissioni o di loro quote dalle Sgr (Società di risparmio gestito) alle banche che le controllano.

Anche perché non ha altro obiettivo che creare un unico mercato all’interno dell’Unione Europea per le transazioni degli strumenti finanziari, per aumentare la sicurezza degli investitori e promuovere la competizione in Europa. In pratica la società di gestione del risparmio, ossia quella con cui le famiglie o le aziende hanno a che fare quando comprano o vendono quote di fondi e altri strumenti finanziari, versa tramite la retrocessione (in inglese inducement) una percentuale notevole delle commissioni alla banca madre, ossia alla banca che la controlla.
Le retrocessioni non sono altro che “oneri impropri”. Un sistema diffuso di sfruttamento delle proprie Sgr, insomma, che però adesso la Mifid rischia di far saltare e che quindi ha già spinto le banche a correre ai ripari, col rischio di affondare la già malata industria del fondo italiano. Le banche, infatti, hanno cominciato a smontare i propri fondi per cercare delle soluzioni alternative.
I vari gestori temono che, essendo diventati meno convenienti per le banche e godendo purtroppo di prestazioni per vari motivi assai inferiori a quelle della concorrenza straniera, sia suonata l’ora della ritirata. Per il risparmiatore il rischio rimangono i prodotti della finanza strutturata, delle assicurazioni e dei prodotti “a capitale garantito o protetto, ovvero con strumenti con una struttura dei costi più opaca” (definizioni di Assogestioni).

Potrebbe infatti essere questo - è il timore di Assogestioni - l’unico nuovo lido possibile per il pubblico risparmio. Si potrà certo dire che la tassazione italiana a volte svantaggia i fondi nazionali su quelli esteri. Si potrà anche dire che il clima pesante delle borse non favorisce i fondi a componente azionaria.
Di certo, però, le prestazioni dei fondi italiani sono da anni inferiori ai benchmark. Di certo la struttura integrata fra banche ed sgr ha destato più di un sospetto di conflitto di interessi. Di certo, in definitiva, il rendimento di questi strumenti (di diritto estero o nazionale che fossero) si è dimostrato inferiore a quello dei colleghi esteri.
Sembra dunque difficile che i risparmiatori italiani possano un domani rimpiangerli. Non diamo la colpa del loro fallimento alla Mifid, però. Anche se da un recente sondaggio effettuato in Emilia Romagna, il 73% degli investitori non ha notato alcun vantaggio nella gestione tramite Mifid dei propri investimenti a fronte di un dato nazionale che si avvicina al 79%.
Mentre ben il 91% vorrebbe evitare di compilare il modulo ma avere garanzie precise su ciò che va a sottoscrivere, individuandole in termini di guadagni reali.

 MARIO MIRABELLI

CENTRO STUDI ANALISI STATISTICHE - MODENA


17 Aprile 2008 - Notice: Undefined index: 10 in /www-root/www-opinione-it/articolo.php on line

BANCHE Adesso i clienti sono sconcertati. Hanno perso una figura di riferimento. TRATTO DA L'OPINIONE DELLE LIBERTA' 22 MARZO 2008

ECCO QUELLO CHE SCRIVEVO SU L'OPINIONE DELLE LIBERTA' 22 MARZO 2008
BANCHE 
Adesso i clienti sono sconcertati. Hanno perso una figura di riferimento
Che fine hanno fatto i direttori
C’era una volta… Era così che iniziavano le favole. Così ricordiamo che c’era una volta il direttore della banca a sportelli locali o nazionali che, sia dietro richiesta dell’imprenditore e sia per ogni esigenza dell’artigiano, forniva il denaro a condizioni che l’artigiano/imprenditore ignorava (per mancanza di tempo, capacità e anche per totale fiducia nei confronti dell’istituzione Banca e di riflesso dell’interlocutore che questa stessa gli forniva).
Quindi era un “do ut des” tra cliente e fornitore, l’uno “offriva” l’altro “prendeva” e soddisfaceva il suo bisogno imprenditoriale consistente nell’acquisto del macchinario innovativo o l’investimento strutturale e produceva, produceva, produceva…… e l’economia girava. Il Direttore era una figura che andava a fiuto guardando negli occhi l’imprenditore, conosceva la famiglia, vedeva le mani consumate e concedeva in piena autonomia più o meno qualsiasi cifra.
Non esistevano “voti” da parte della banca dati ai clienti, né tanto meno budget che il direttore doveva gestire nell’arco dell’anno, era tutto fatto alla buona ma sempre in maniera più che professionale. Sia che l’artigiano avesse alle spalle una famiglia ricca e macchinari all’avanguardia, sia che fosse una persona qualunque con velleità imprenditoriali, veniva agevolato e la banca era considerata come un’istituzione; il direttore era come il parroco o come il sindaco, sia nel piccolo paesino sia in città.
Il direttore dava sempre e comunque una mano! Era sereno e un po’ burocrate, questo fino alla fine degli anni Novanta, inizi del nuovo secolo. Appunto c’era una volta… e oggi?
Oggi? Il funzionario di banca o direttore, se gli va bene è rinchiuso nel backoffice centralizzato (i famosi poli, nel vero senso della parola, alquanto gelidi e con un marcato senso di solitudine), altri già in prepensionamento, altri ancora sulle strade, con patentino di promotore finanziario a procacciare nuova clientela per le stesse banche.
Non si vuole difendere qui, una categoria che non ha mai goduto di grandi simpatie, né tanto meno prendere le loro difese, ma il declino del bancario nella scala delle professioni si accompagna ad una profonda frattura di valori e opinioni esistente tra la base dei lavoratori (la cosiddetta rete) e il vertice degli istituti di credito, frattura che non ha paragoni in alcun settore.
Si tratta di associare la crisi di identità che affligge decine di migliaia di direttori di banca alla modesta qualità del servizio alla clientela, in particolare nelle grandi banche nazionali, e al fenomeno strisciante ma significativo dell’aumento delle perdite sui crediti di piccola e media dimensione.
Si tratta di dare un perché ai tanti clienti, che rimpiangono il vecchio direttore di banca, sconcertati dalle rotazioni continue di personale di filiale e stanchi di nuove strutture e banche specializzate che non si parlano tra loro, o stanchi dell’inserimento di nuove giovani figure bancarie che sposano il budget “da fare a tutti i costi” adottando un minaccioso rapporto con il cliente, sia esso solido o meno, ed un modo di fare banca che non è banca.

E da ultimo, indirettamente spiegare a tutti i clienti, la tenuta e la crescita delle piccole banche locali, che avrebbero dovuto cedere il passo per assenza di scala dimensionale e invece, fortunatamente e nella gran parte dei casi, continuano ad accogliere clientela insoddisfatta dai grandi operatori bancari.
Oggi il 95% delle nuove leve chiede al nuovo ed al vecchio cliente garanzie reali, spesso difficili da reperire e i parametri che vengono usati per gestire bancariamente una nuova azienda fanno capo a Basilea 2. Tramite l’applicazione dei principi di “Basilea 2” viene identificata la proposta di revisione della normativa sull’adeguatezza patrimoniale degli istituti di credito, prevista, per l’appunto, dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria, nell’obiettivo di tutelare la banca negli eventuali rapporti con clienti inadempienti e inaffidabili.
Nel caso di una nuova attività vengono richieste le firme di tutta la famiglia o ancora proprietà immobiliari e/o titoli giacenti in un’altra struttura bancaria. Mentre nel caso in cui l’attività sia già esistente, vengono richieste garanzie relative alla conduzione aziendale attuale e in prospettiva si valutano le possibilità produttive e di crescita future.
Fortunatamente c’è quel 5% di nuove leve che sa fare banca e guarda ancora i progetti imprenditoriali e i sogni dell’imprenditore stesso, sia esso alle prime armi o navigato.
Se ci fosse stato il vecchio funzionario di banca sicuramente non ci sarebbero stati rapporti di chiusura di conti correnti con indicazioni di 1 conto chiuso ogni 8, dai dati sulla cosiddetta customer retention, cioè la capacità degli istituti di credito di trattenere i correntisti. I dati sono riferiti al 2006, mentre per il 2007 il dato definitivo è di ben un conto corrente chiuso ogni sette.
Non è questione subprime. I dati del periodo subprime li conosceremo a fine anno, e certamente ci dovremo allarmare di più. E’ che la banca è diventata un’azienda che deve far profitto, sempre e di più. Devono essere vendute azioni, obbligazioni, assicurazioni, finanziamenti, carte revolving.
Bisogna vendere. Non più denaro come una volta, ma debiti, sempre di più e sempre possibilmente agli stessi soggetti, che forse una volta avrebbero comprato solo il denaro. Non c’è capacità da parte degli istituti di credito di trattenere i correntisti oppure sono i correntisti ad essere scarsamente coccolati dalle nuove e giovani leve inserite in banca e decidono di chiudere direttamente il conto corrente? Come è facile comprendere, le cose si sono complicate.
Il rapporto banca impresa non è più una semplice interazione tra due soggetti, cliente/direttore, ma a questo punto sono i numeri a farla da padrone. Ma sarà davvero così il futuro? Crediamo e speriamo ancora nelle favole. E’ meglio per tutti, vecchi funzionari e nuovi imprenditori.

Mario Mirabelli
Centro Studi Analisi Statistiche - Modena